“Poscia (dopo la processione e i fuochi) il maestro che lavorò i fuochi, che fu chiamato da Atri, cavalcò un cavallo, che era tutto ripieno di fuochi artificiali con il quale girò più volte la piazza buttando sempre raggi ed altre bizzarrie composte di bitume ed altre simili materie incendiarie. Pareva giusto un Plutone quando sopra un cavallo di fuoco uscì dal monte Vesuvio a rapire la figlia di Cerere”.
Dal 1878 al 1950 l’addetto all’accensione del Cavallo fu Luigi Lucadei (membro all’epoca della confraternita di Misericordia) che proprio per il suo ruolo venne detto “stuppì” (miccia). Ormai, dopo oltre duecento anni di rievocazione del Cavallo di Fuoco, questa festività aveva assunto i caratteri del “giorno dell’anno”. L’importanza che aveva raggiunto la sagoma vera e propria, era addirittura equiparabile a quella data al simulacro della Madonna di San Giovanni; Luigi Piergallini, personaggio molto conosciuto di Ripatransone (a cui, dopo “stuppì” e Francesco Piergallini detto “’Ngeccù” , spettò l’onore di accendere il Cavallo) autore di libri come “Babbo, il Cavallo di Fuoco, e tanta gente ripana” , scriveva:
“Una creatura santa, tenuta cara quanto la pupilla dell’occhio… se le scintille finiscono sui vestiti, pazienza e tante grazie circa il ritorno di fortuna, giustizia pratica della credenza popolare […]. Per tanti altri ripani rappresentava il simbolo della devozione, della fortuna, del superamento di tante malattie, dell’allontanamento delle disgrazie. Era questa fede?”. Durante la Seconda Guerra Mondiale non si festeggiò il Cavallo di Fuoco per cinque edizioni. Ciò ebbe ripercussioni sulla popolazione che, oltre a subire le atrocità della Guerra, non potè rievocare la festa tanto amata; sempre Luigi Piergallini scriveva: “Mi riferirono che, durante gli anni di guerra, anziani e ragazzi avevano più volte visitato il cavallo per… salutarlo […]. Era possibile che il Cavallo di Fuoco potesse rinfrancare lo spirito fra una lacrima e l’altra?”. Prima che la rimessa ufficiale del Cavallo diventasse quella attuale, esso si trovava in una stalla o in un magazzino di cui non si conosce la posizione; gli anziani raccontano che a pochi era permesso entrare nella rimessa del Cavallo, e quale fosse lo sapevano davvero in pochi. Ciò ovviamente accresceva l’enfasi cittadina che non aspettava altro di rivedere il Cavallo di Fuoco nella domenica in albis. Venne così usato il modello in legno fino al 1994, anno in cui l’artigiano Umberto Nucci costruì il nuovo modello in lamiera. Esso pesa 2.5 quintali, è lungo 3 metri e alto 2.50. Quest’ultimo modello di Cavallo genera fuochi molto più spettacolari dei precedenti e specialmente grazie ad esso, l’afflusso di persone a questa manifestazione è cresciuto vertiginosamente. Negli ultimi anni ad occuparsi dei fuochi artificiali è la ditta Alessi. Essa utilizza i seguenti fuochi: fontane d’argento, fontane d’oro, candele romane, girandole volanti, batterie colorate, bombette colorate, girelle. Gli ultimi decenni del Cavallo di fuoco sono stati caratterizzati, come già detto, dalla crescita di popolarità e quindi da un crescente afflusso di spettatori i quali, non di rado, provengono anche da regioni lontane; da diversi anni è diventata anche tradizione condurre la mattina il Cavallo sul sagrato della Cattedrale per farlo benedire dal Vescovo. Dal 2005 nel sabato si organizza nel centro di aggregazione cittadina una veglia che vede la partecipazione di diversi gruppi musicali. Cosa ci prospetta il Cavallo di Fuoco per il futuro? Questo non possiamo conoscerlo anche se sappiamo con certezza che è questa una manifestazione che non morirà mai, finché i ripani continueranno a rievocarla con passione e affetto.
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